Pietro e Paolo

(c) di KumaPino

"Eccolo là - pensò Pietro guardando Paolo che fermava la professoressa in corridoio dicendogli qualche
cosa- ci risiamo". Poco dopo, la classe dovette sorbirsi una lunga ramanzina sul fatto che le persone mature
non fannoscherzi sciocchi, chi vuole seriamente studiare ha diritto di essere lasciato in pace, era ora che tutti diventasseropiù seri. Paolo era così: appena c'era qualche problema con i compagni, correva a dirlo agli
insegnanti oppure aigenitori. Se qualcuno sbagliava, invece di aiutarlo a correggersi, faceva conoscere a tutti
l'errore del malcapitato,se qualcuno combinava un guaio, metteva le mani avanti, a spiegare che non c'entrava niente. In classe nessunolo sopportava, era intelligente, sì, ma senza esagerare. Tutti gli altri erano solidali,
ormai lui era un escluso. Nessuno si sarebbe sognato di passargli un compito da copiare. Anche oggi
eravamo da capo. Finita la scuola, Paolo si avviò per andare a casa, Pietro lo seguì, lo raggiunse, cercò di
parlargli. "Non ti accorgi che così nonhai un amico ? Non capisci che ci vuole un pò di solidarietà tra noi ?
Quando ci sono problemi possiamo parlarne, tentare di risolverli tra noi, senza andare subito a fare la spia ?
Prova ad essere un po' più amico degli altri, vedrai che ti troverai meglio". Paolo un pò taceva, un pò si
difendeva: "Lasciatemi in pace !". Quattro giorni dopo, interrogazione di scienze. Nessuno era preparato,
l'insegnante era una vecchia arpia che sembrava provare un piacere speciale nel distribuire brutti voti. Tutti
gli occhi si voltarono supplichevoli a Paolo: "Tu sei il migliore in scienze ! Fatti interrogare, così ci salvi !".
Ma lui:"No, non sono preparato !". La prof chiamò, inun silenzio di tomba, prima uno, poi un altro e un altro
ancora: tutti quattro. Infine chiamò Paolo e gli mise un sette. Tutti strinsero un tacito patto: nessuno avrebbe
più calcolato Paolo. Tre mesi dopo, verso la fine dell'annoscolastico, durante un compito in classe di storia,
Pietro capì che Paolo era in difficoltà serie. Continuò a lavoraresul suo compito, ma ogni tanto guardava Paolo
che era lì, sudaticcio sulla fronte, la matita mordicchiata. Erano nella stessa fila: finì che Pietro gli passò il
compito. Paolo prese sette. Naturalmente non si degnò di pronunciare non dico un grazie, ma neanche una
sillaba. Pietro si giustificò allargando le braccia:"Cosa volete, Paolo non ce la fa ad essere amico di qualcuno.
Io non ce la faccio a non essere amico di tutti".

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